mar
11
feb
2014
Il Rabbino volante
Scrivevo a fine gennaio...
Sono tre settimane che cerco di fotografare qui a Tel Aviv un rabbino volante. Eh si, perchè vola proprio sui suoi pattini. Lo vedo ogni tanto sfrecciare sui viali della città. E' alto,
filiforme, vestito di tutto punto con il vestito nero e cappello a larghe falde, porta uno zainetto monospalla, quando mi passa vicino quasi sempre mi sfiora la sua lunga barba al vento. Mi sono
organizzato, ho sempre la fotocamera in mano, tanto lo becco prima o poi :)
L'altro giorno sento dei rumori dietro di me, mi è sembrato rumore di pattini, mi volto di scatto e sparo la raffica con la mia Canon... la scena era da filmare :)
Chi mi trovo davanti??? Un poliziotto con i pattini che inchioda davanti a me e si ferma a 20 centimetri dal mio 70/200, ha gli occhi sgranati per la sorpresa, io sgrano i miei dallo stupore
:)
Ripresosi mi dice, darcon! (passaporto) io non sapevo se ridere o preoccuparmi, gli do il passaporto, me lo ridà, mi prende la fotocamera, guarda le foto, mi guarda, sfoggia un sorrisetto
melefico e ridandomi la Canon mi dice, DELETE!! (cancella) Io provo a dire ma adonì.... (signore) e lui, DELETE!!
Ok ok faccio io, tanto non era venuto manco bene, però penso, bravo Tì, stai sulla strada buona, tanto prima o poi il rabbino volante lo becchi :)
Non credevo che un raccontino così suscitasse tanta curiosità, quindi ad amici che mi chiedevano scrissi….
Te lo descrivo è giovane sulla trentina, porta gli occhiali rettangolari (mai visto un religioso con gli occhiali tondi o ovali) sono in metallo silver opaco, porta la barba lunga, una quarantina
di centimetri, capelli neri ma la barba è di un meraviglioso sale e pepe. Alto penso sull'1.90, magro, vestito di nero, dai pantaloni gli escono gli Zizzit bianchi che svolazzano adesso a destra
adesso a sinistra mentre pattina, si curva leggermente a ogni falcata, quando curva è uno spettacolo, la barba da una parte e lui dall'altra. Porta uno zainetto nero monospalla, una volta l'ho
visto che mentre curvava componeva un numero telefonico sull'iphone. L'ho visto scendere i gradini tre a tre e atterrare dolcemente quando salta gli ultimi e continuare la sua corsa come se nulla
fosse. Una volta l'ho visto entrare in libreria, e ho pensato, e mò ti frego io! Entro, lo cerco ma non c'era più, la libreria aveva un'altra uscita che ha usato come scorciatoia nel centro
commerciale. Ormai mi ossessiona lo vedo dappertutto :)
Seguono messaggi di auguri di appostamento manco stessi a caccia grossa..
Il 9 febbraio, la mattina, malinconicamente mi faccio la valigia, ho l’aereo nel pomeriggio, non mi va di partire, vorrei restare ancora e ancora in questa città che mi affascina, mi piace tutto,
l’architettura con il suo Bauhaus bianco, i grattacieli di vetro e Yafo sul mare come se fosse una Trastevere lambita dall’acqua salata e la gente con la sua apparente scontrosità, si dice che
gli Israeliani siano come il sabra (il fico d’india) fuori spinosi ma dolcissimi all’interno, è vero, lo confermo, hanno un atteggiamento scostante ma appena ci parli si aprono al sorriso, se
chiedi un’informazione sono pazienti e ti spiegano, e se sei proprio una zappa (io per esempio) ti accompagnano e non ti mollano sino a che non hai capito. Non esiste il problema della lingua,
quando parlavo con il mio ebraico sbiascicato e mi rispondevo in ebraico ma capivano subito che non sarei stato in grado di sostenere una conversazione, swicciavano immediatamente all’inglese,
hahahhaa capirai! Meglio mi sento!!! :)
Insomma io ho comunicato con quello che sapevo e quindi si parlava in ebraico, inglese, francese, spagnolo, portoghese e arabo e ovviamente anche in italiano. Non che io conosca tutte queste
lingue (magari!) ma componevo le frasi mischiando i termini che mi ricordavo al momento, una sorta di interlingua che a tratti mi ha ricordato il monaco Salvatore amico di Remigio da Varagine del
“In Nome della Rosa" di Umberto Eco, lo so pessima figura ma ha funzionato.
Ok, mi concedo una ultima e abbondante colazione israeliana, fantastica, improponibile a Roma ma quando sono qui mi adeguo e devo dire con tanta ma tanta disponibilità.
Torno su, attendo il padrone di casa, gli riconsegno le chiavi, ci salutiamo con l’arrivederci all’anno prossimo, sono stato bene, zona centralissima perfetta per i miei spostamenti. Scendo e
prendo un taxi per l’aeroporto, basta dire Ben Gurion bevakashà… e quello parte.
Giriamo l’angolo a trenta metri da casa e il tassista ride e mi indica un tizio…
Io lancio un urlo NOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!
Il rabbino volante!!!!!!!!!!!
Il tassista inchioda e si volta verso di me che armeggio in borsa come un forsennato, avete presente quando cerchi la chiave di casa in fretta e furia perché te la stai facendo sotto??? Ecco
immaginatevi la scena.
Il tassista mi chiede cosa succede, io capisco ma non riesco a trovare le parole per dire che sto cercando la macchina fotografica e di seguire il tizio, trovo la Canon, monta il 70/200… cazzo!
Troppo grosso tento di smontarlo e mi si incastra il gancio che monta per il cavalletto, tento di estrarre la macchina ma nella fretta non ci riesco…. ideona! Smonto il teleobiettivo in borsa,
ecco si sgancia e immediatamente monto il 24/105, mi cade il tappo e me ne frego, io che sono un maniaco nel riporlo immediatamente per non fare entrare polvere…
Scende la monetina e il tassista capisce cosa voglio fare, ride a crepapelle e si mette seguire il rabbino lentamente..
Poche foto, neanche mi ricordo come era impostata la Canon ma scatto al volo sino a che ci suonano dietro e il tassista scusandosi parte e prende la strada per il Ben Gurion..
Incredibile! L’ultimo giorno, l’ultimo minuto, che ve lo dico a fà, ero contentissimo!!
Ok mi dico, adesso so dove bazzica, l’anno prossimo lo fermo e gli dico che voglio fare un servizio su di lui, mi voglio rovinare, lo pago pure!
Ciao Tel Aviv, all’anno prossimo.
mar
04
feb
2014
Mea Shearim
Fa freddo, Gerusalemme ti regala giornate di sole anche d’inverno dove la luce è meravigliosa e diviene meraviglia per gli occhi e per il Cuore al tramonto, la città si tinge di oro, palpita nei
raggi dorati che virano in ombre magiche che si allungano e si stendono verso l’orizzonte…
Ma oggi fa freddo, e dopo radi e parsimoniosi squarci le nubi si chiudono e il cielo diviene plumbeo, brutta luce, tutto si appiattisce perde tridimensionalità si perde la profondità dei volumi,
no, non mi piace questa luce. Sono al Kotel, sto in mezzo agli uomini che pregano, mi muovo con lentezza tra di loro, ormai faccio parte del paesaggio comune. Ogni tanto mi avvicino al muro, vi
poggio la fronte e le mani, aperte come ad assorbire energia, ogni tanto mi avvicino, mi ricordo di qualcuno e lo pongo su quelle pietre che esalano preghiere da millenni. E’ calda quella pietra,
potesse parlare si sentirebbe la voce di Dio, quella del Tuono che ha fatto Cielo e Terra, Colui che tutto può, il Potente in battaglia che stende il suo braccio e vince. Ma anche quella del Dio
che si è fatto Uomo, umile che ha condiviso la gioia, le lacrime e il sole di Gerusalemme, quello che si è identificato negli Ultimi, quello che pronunciato parole incise per sempre nel
Cuore dell’Uomo..
Ogni tanto mi ricordo un nome, una situazione e mi avvicino, prego e sto in silenzio, il rumore di fondo si abbassa e non so più dove sono, ma toccare quella pietra mi da tanta serenità ..
Porto la kippah nera, fatta a mano, pesante come gli ortodossi, non mi confondo con i turisti anch’essi armati di fotocamere, ma la differenza gli uomini in nero la notano, e anche loro non mi
confondono, io sono il cristiano fotografo che spesso hanno inglobato tra loro mentre io assorto non mi accorgevo che intorno a me si radunavano rabbini dondolanti e a fatica uscivo dalla calca
tra peoth al vento e sguardi che mi trapassavano vedendo solo il Muro. Una volta mentre ero appoggiato mi è caduta la Bibbia in terra, un rabbino si è chinato, l’ha baciata e le me l’ha resa.
Prima di darmela l’ha sfogliata e ha visto l’icona del Volto di Cristo, l’ha guardato attentamente, mi ha guardato attentamente, mi ha sorriso e si è accarezzato le peoth, indicandole sull’Icona.
E’ strano, è inusuale, sia che si sia chinato sia che l’abbia baciata, poi mi sono ricordato chi era, mi aveva dato la benedizione il giorno prima, mi impose le mani sul capo, volle sapere il mio
nome e quello di mia moglie, un lampo di tristezza e di compassione quando seppe che non avevo figli, poi la benedizione. Poi scoprì che non ero ebreo ma cristiano e mi chiese, perché sei qui?
Risposi iniziando lo “Shema Israel” e lui sorrise profondamente..
Ma fa freddo, la luce non mi piace e non voglio essere di nuovo ringlobato nel dondolio perenne, tra l’altro stanno arrivando gli askenziti quelli con il cappello di pelliccia, impossibile alzare
la macchina fotografica senza beccarsi improperi e non mi va dopo quei momenti di serenità rovinarmeli per uno scatto in più o in meno al kotel.
Fa freddo, meglio camminare, mi viene in mente di andare a Mea Shearim il quartier ultraortodosso di Gerusalemme, so come arrivarci e con passo deciso mi avvio.
Mentre vado controllo l’attrezzatura, ok a posto, batteria carica, scheda da 32 giga vuota, impostato a priorità di tempi, montato obbiettivo ultrangolare, so bene che non posso alzare la
macchina al viso, quindi cercherò di rubare qualche immagine tenendola in mano lungo il fianco come niente fosse, penso, vai! Sei pronto, vai e fai il servizio come si deve, attimi fugaci,
immagini rubate di vita quotidiana, vai, cinico, determinato, risoluto, porta a casa la pagnotta.
Arrivo a Mea Sherarim, fa ancora più freddo, mi accoglie un cartello con su scritto, non siamo animali da zoo se entri porta rispetto.
Ah!
Cominciamo bene, penso.
Inizio a guardarmi intorno, noto l’assenza totale delle bandiere di Israele, poca gente per strada, rare le donne che se non sono giovani portano tutte la parrucca, no, le giovani no, ma
indossano un fazzoletto sul capo a mascherare i capelli. Mi passa davanti una donna con il fazzolettone, gli occhi mi cadono sul collo e vedo che ha rasato i capelli che potevano uscire fuori da
esso.
Continuo ad addentrami in Mea Shearim, c’ero stato già altre volte, a parte quando ci passo con l’autobus che dalla stazione mi porta al kotel, c’ero stato ricordo in estate, avevo girato con
altri lungo i viali principali e visto i negozi o le botteghe sulla strada, ma all’interno non mi ero mai azzardato. Ora invece mi inoltro nelle strade interne senza timore, cammino con calma,
passeggio, mi fermo, guardo, mi giro, alzo lo sguardo, è evidente che non sono del luogo, è evidente che sono un turista con macchina fotografica in mano, ma non è evidente che non sono ebreo,
porto la mia kippah nera da ortodosso, mi fermo nei negozi di articoli religiosi, tocco la stoffa dei talith, alcuni li provo pure, contratto per una Yad in argento che il tizio barbuto e
ortodossissimo vuole far passare per l'inizio 700… see vabbè, gli vorrei dire, ahò sò de Roma, ma sorrido, ringrazio ed esco dal negozio.
Però ho preso gusto e mi addentro ancor di più nei vicoli. Altro enorme cartello “Noi non siamo Sionisti” e un altro “Israele non deve esistere” …….
E infatti Israele non è, o meglio, Mea Shearim ha leggi tutte sue, se la sbrigano tra loro, la polizia non entra, se c’è un incendio non si chiamano i pompieri, ce la si sbriga da se… ma questo è
un altro discorso che non è il caso di fare adesso, però è importante per capire l‘humus ambientale in cui mi trovo.
Entro, entro ancora, nessuna percezione di pericolo, tutto tranquillo, ma quei cartelli mi hanno infastidito e sto attento a come mi muovo e a cosa faccio. Ormai la macchina fotografica dondola
sul mio fianco appesa alla cintura monospalla, sarò pure un turista ma non fotografo, cosa che vedo viene apprezzata. Entro ancora di più all’interno, e mi si apre un mondo.
Ho appena varcato l’ingresso di un cortile, sono entrato in uno Shtetl (villaggio ebraico dell'Europa dell’Est) sono tornato indietro nel tempo. Non sento più parlare ebraico ma Yddish, la
cadenza, la parlata sembra una parodia sui russi, la gente dentro il cortile mi vede riporre la fotocamera in borsa, mi guarda per un attimo ancora e si volta a fare le cose che facevano come se
nulla fosse.
Nessuno mi ha chiesto nulla, nessuno si è avvicinato ma ero libero di camminare e guardare come volevo. Mi siedo su un sedile di pietra e guardo la vita che scorre. Si sono già accese le prime
finestre, vedo la vita oltre di esse, o almeno la sbircio, la finestre sono piccole, hanno gli scuri di metallo con delle feritoie, i palazzi non superano i tre piani, non credo che vi sia
l’ascensore, i portoni di ingresso sono senza porte, si vedono le scale scarsamente illuminate.
Alcuni uomini sono a gruppetti e parlano tra loro, alcuni sono a coppie e parlano fitto fitto, altri portano la mano alla bocca per non farsi leggere il labiale, mi accorgo che sono l’unico
occidentale li, l’unico a non avere l’abito tradizionale, l’unico a non avere le peoth e sicuramente l’unico non ebreo. Gli uomini sfoggiano abiti di tutti i tipi, a parte il classico vestito
nero con il cappello a larghe falde che pochi indossano gli altri sembrano una sfilata dei migliori modelli di oltre un secolo fa in russia o in polonia. Colbacchi di pelliccia, coprono le teste
rasate adornate solo da lunghissime e bellissime peoth, curate sino all’ossessione, toccate, arrotolate, lunghe e fluenti. Alcuni le hanno fini che fanno girare intorno alle orecchie più volte,
altri le tengono libere e ondeggiano ad ogni movimento del capo, i bambini lunghe e lisce, sbarazzine oserei dire. Gli abiti neri, paltò neri, i pantaloni a volte corti sino al ginocchio completi
di calze scure e scarpe rigorosamente nere. Altri hanno abiti a mò di casacca, a righine verticali bianche e nere, tutti gli uomini hanno la barba eccetto chi veste con il l’abito nero nero con
giacca e camicia bianca semplice semplice tanto da sembrare io stesso più ortodosso di loro. La luce diviene fantastica, e mi pento di aver messo dentro la macchina fotografica. Mi alzo ed esco
al cortile, torno fuori e paradossalmente anche se in piena Mea Shearim, torno agli anni duemila.
Fuori un gruppo di bambini corre per strada, si tengono la kippah con una mano mentre corrono, c’è vento che sta spazzando le nubi, ogni tanto filtra qualche raggio di luce come dopo la pioggia
che illumina la scena con maestria e capace sintesi di luce e ombre che si rincorrono come andassero dietro ai ragazzini. Cammino e sto attento a guardare rapidamente verso le aperture che scopro
camminando, Cammini e improvvisamente mentre passi vedi che quella rientranza in realtà è l’entrata di un negozio su strada, a volte devi salire qualche gradino a volte scenderli, ma subito ti
rendi conto che all’interno c’è vita, merci e gente che fa la spesa o compra o vende, fermarsi e guardare attentamente sarebbe come guardare dentro la finestra di una casa, mi sembra fuoriluogo e
passo oltre. Questo si ripete continuamente tanto che mi rendo conto che avrò fatto pochissimi scatti ma ha impresso molto con gli occhi. Guardo l’orologio e vedo che è passata quasi un’ora e
mezza da quando sono entrato a Mea Shearim, il salto indietro nel tempo deve aver scombussolato il mio orologio biologico. Esco e sto per andare via, mi dico, su via, qualche scatto fallo. Tiro
fuori la macchina e mentre lo faccio mi rendo conto che sono davanti ad una Yeshivah (scuola di Torah) e c’è un giovane rabbino sulla porta che mi guardo torvo, come a dire appena mi fotografi ti
faccio nero!
Ma io non gli do soddisfazione, la miglior difesa è l’attacco, abbasso la camera e gli vado incontro. Non se lo aspettava e mi guarda incuriosito. Gli domando nel mio fluente ebraico (ehhhhh
sembra vero) Slichà adonì la tachanà merkazit, bevakashà? (Scusi Signore, la stazione centrale per favore? So benissimo dove e come ci si arriva) e lui umiliandomi mi risponde in
inglese, devi prendere prima l’autobus n°…. e io, no no a piedi.
A piedi?????????????
Manco avessi bestemmiato il Santissimo!!!!!
Si gli dico, a piedi. E lui, nooooooooooooo e mentre lo fa scuote vigorosamente la testa, le peoth cominciano a ondeggiare e ad accumulare energia finché una gli entra in un occhio.
Oh! io non ce l’ho fatta più e ho cominciato a ridere e non mi fermavo più, lui che si massaggiava l’occhio che gli lacrimava e io che ridevo, vabbè poi si è messo a ridere anche lui.
Poi inizia una meticolosa descrizione del percorso, di cui confesso ho capito solo quando diceva a destra e a sinistra, ma ero troppo concentrato a non ridere ancora e sarebbe stato veramente
irrispettoso, perché mentre descriveva il percorso si curvava e si girava per ricordarsi se la sinistra che mi descriveva corrispondeva veramente alla sinistra da prendere, un po come si fa per
ricordarsi la destra muovendo la mano con cui si scrive, io guardo l’orologio per fargli fretta e lui sconfitto si ferma e mi indica una direzione, e mi fa è da quella parte! ok penso uno a uno,
tu mi hai umiliato con l’inglese, io con l’orientamento.
Saluto e vado via, faccio finta di prendere la strada indicata ma poi devio per la scorciatoia che mi porta al mercato che è una strada più bella da fare e cose interessanti da fotografare.
Mentre mi reco alla stazione penso, spero non mi capiti più, sarebbe un suicidio per un fotografo stare in un ambiente come quello e non poter scattare, ma non mi andava, mi sembrava
irrispettoso, invadente, come un entrare senza autorizzazione nella vita degli altri nei momenti intimi, non si fa, non è bello, non è giusto, e mi ricordo il primo cartello all’entrata, questo
non è uno zoo e lo condivido, molto meno il secondo anzi per niente.
sab
03
ago
2013
Il funerale di un invisibile
Roma, agosto..
Ad un certo punto penso che se in quel preciso istante ci fosse Pasolini, avrebbe scritturato la maggior parte dei presenti. Che volti, che espressioni, che modi di muoversi, altro che accattone, altro che neorealismo, una vera immersione di umanità vera, concreta, colorata, tatuata, piercingata..
C'è il rito, c'è un coro, ci sono amici che vivono per strada e amici che l'aiutano a sopravvivere, quando con un panino, quando con una coperta quando con una doccia, insomma uno strano legame di solidarietà non fatto da parentela di sangue ma di sincero affetto.
In quel funerale si incontrano due mondi, ambedue stretti intorno ad una bara e un funerale pagato dal Comune agli "invisibili".
La bara, la bara è semplice, sopra un mazzo di fiori e una Bibbia aperta, l'amico che è morto era una persona sensibile, una umanità sofferente, delusa dai sogni e dagli affetti, un tipo che non puoi non ricordare e se ci hai parlato lo ricordi con simpatia e ti rendi conto che è morto un uomo mite.
Come detto, gli occhi vagano, scrutano, osservano particolari che ad altri sfuggono, i colori, le ombre, i controluce e le espressioni. Le figure che si muovono intorno alla bara disegnano delle quinte in cui trapelano volti e espressioni, come una specie di zoom passo da una quinta all'altra che si sono formate facendo capanello intorno alla bara. C'è stata una processione durante tutta la messa, la gente che arrivava andava alla bara, chi la accarezza, chi si inginocchia, chi la bacia, e chi gli bussa contro, si si, bussa, come a dire, sto qui, sono venuto, volevo salutarti..
Poi c'è chi ci parla, a volte sommessamente, a volte ad alta voce, incurante del momento, c'è chi gli dice, ricordi? Oppure, te lo volevo dire che.. o chi senza vergogna gli dice, ti chiedo scusa per quella volta che..
Io non so come sarà il mio funerale, o meglio lo so, sarà composto, con gente composta, con un coro composto, con parenti composti, con amici composti, insomma un composto funerale, e ho pensato invece, guarda questo funerale non ha nulla di composto ed è bellissimo...
Usciamo, fa caldo in Basilica, seguiamo la bara che è inclinata perchè uno dei portatori è molto più alto degli altri, sorrido, e penso, ma guarda come è sbilenca, manco questo è composto...
Fa caldo anche fuori, forse anche di più, mi si avvicina una zingara che chiede sempre l'elemosina davanti alla Basilica, e mi chiede, a Tì ma chi era? Gli dico il nome, e lei sgrana gli occhi, sinceramente addolorata mi dice ma quanto mi spiace, gli occhi gli diventano rossi, e prima che vedessi sgorgare le lacrime, si avvicina all'auto dove è stata riposta la bara. Avevano già chiuso, lei abbraccia il lunotto, bacia il vetro, si segna come fanno gli ortodossi e con le dita disegna una croce sul vetro, la vedo staccarsi lentamente, non si volta, e non vedo neanche questa volta le sue lacrime, poi guardo il vetro che è tutto bagnato...
La gente lentamente si allontana dopo aver chiaccherato e ricordato l'amico, mi si avvicina un signore e nel contempo anche un punk, bellissimo contrasto, il signore in giacca e cravatta e il punk tutto borchiato e tatuato, alla lingua ha del metallo, alle orecchie pure, sul naso anche, penso, certo deve avere problemi con le calamite...
Ambedue mi chiedono, chi era? Gli spiego a grandi spanne, mi ascoltano con attenzione, interessati, colpiti dalla scena insolita di gente cosi eterogena che era li, il punk mi dice - non lo conoscevo ma da quello che mi racconti mi spiace non averlo conosciuto, anche il signore con giacca a cravatta mi dice, anche a me, che darei per avere un funerale così e avere questo tipo di gente che mi saluta..
Vanno via insieme, li ho visti entrare al bar a prendere una birra...
Vado via anche io, con il dispiacere nel cuore ma con un sorriso e tanta serenità, a me non fa paura la morte, il morire si, tanto, ma la morte in se no, e penso, bah! Speriamo che anche al mio funerale un signore con giacca e cravatta senta il bisogno di pagare amichevolmente una birra a uno che non vorrebe mai incontrare sulla sua strada. E ripenso a Pasolini, e gli dico ... che te sei perso.
lun
04
giu
2012
Un linciaggio a Roma, scene di ordinaria follia
Alcuni miei amici mi avevano raccontato che ai ladri, in Africa, una volta presi e picchiati, vengono inseriti in vecchi copertoni di auto e dati alle fiamme... Ho sempre ascoltato questi racconti con immenso orrore.
Mai mi sarei aspettato di vedere un linciaggio a Roma. No, non è stato dato a fuoco nessuno, ma i sentimenti erano quelli.
Cammino per strada in un quartiere di Roma, non di quelli delle cronache periferiche, non bisogna scomodare Tor Bella Monaca o la Magliana per far dire ai soliti benpensanti che lì è normale.
Sento urla di donna, non capisco da che parte arrivino, poi a un certo punto vedo la scena, un ragazzo corre in mezzo alla strada, procede a zig zag seguito da due ragazze che lo agguantano per la maglietta, riescono a gettarlo per terra, arriva un ragazzotto sui trent'anni e giù calci e pugni.
Al ladro! Al ladro! Sembra un film, ma non è un film, è la vita vera di tante disperazioni.
Il ragazzo, presumo un romeno dall'accento, ha strappato di mano il portafoglio della ragazza, ha tentato di scappare ma gli ha detto male. Ancora a terra si divincola, arriva altra gente, altri calci e pugni, a questo punto intervengo, dico basta basta! Ormai l'avete preso!..
Ma ero trasparente e nessuno ascoltava.
Arriva un ragazzo distinto, giacca e cravatta, visibilmente scosso che dice ad uno che picchiava, ora basta se no ti denuncio, il ragazzo si alza in piedi e sempre dando calci al romeno, gli dice con studiata aria di sfida, denunciami che poi meno pure a te!
Arriva un autobus e si ferma a un metro dalla scena, l'autista ride e applaude. Arriva il padre della ragazza che ha subito il furto, altri calci e pugni, poi si getta di peso addosso al criminale, gli prende la maglietta e la stringe forte alla gola, il ragazzo a terra rantola. A questo punto intorno al criminale ormai siamo più di trenta persone, insieme a due o tre persone cerco di far ragionare gli aggressori, volano parole grosse, il ragazzo a terra ha il viso schiacciato sull'asfalto, un ginocchio sopra il collo, la schiena scoperta e ormai rossa di contusioni, mi fanno impressione le costole, quel torace è troppo scavato, troppo magro per uno che si guadagna da vivere con i furti, gli si contano tutte le costole...
Urla, piange, si contorce, il padre della ragazza stringe sempre più la maglietta ormai cappio al collo, il volto diviene violaceo, stacco le mani del padre della ragazza dal collo del romeno, ma continua a urlare t'ammazzo t'ammazzo, la figlia urla, io mi alzo alle 5 della mattina per andare a lavorare!!! Arrivano tre vigili urbani, guardano la scena dal di fuori del capannello, io rimango basito! Mi avvicino a uno di loro e gli dico, io non denuncio loro che lo stanno linciando, denuncio te che non fai niente!!! Si attacca alla radio e chiama i carabinieri. Arrivano. Dalla pattuglia scendono due carabinieri, sono giovani, alti, grossi, circolare circolare non c'è niente da vedere....manco fosse un film americano. Contemporaneamente arriva una signora quasi ottantenne, è grossa, cammina claudicando, ha in ambedue le mani le sporte della spesa, vede la scena e comincia a urlare, fermi fermi!! Che fate lo ammazzate così!!! Eh si perché non si è mai smesso di dargli calci e pugni, chi passava passava, si fermava anche per un istante e dava calci, tanto che con quei due ragazzi oltre acercare di fare calmare gli animi, ci eravamo messi davanti per interrompere questa malefica processione del fammi dare un calcio pure a me..
La signora viene aggredita verbalmente dagli aggressori, e ho visto una vecchia che gridava più di me e di quei due, ha tenuto testa a tutti, ad un certo punto dice quanto ti ha rubato? Dimmelo, te li do io i soldi, ma non lo ammazzate!!!!
Ho amato quella vecchia.
I carabinieri incombono, la gente si calma, uno di essi mette il suo piede che calza gli anfibi sulla mano del romeno ancora sdraiato a terra, tenta di estrarre le manette, non ci riesce, la scena è ridicola, come solo un carabiniere può essere quando tenta di imitare un eroe della polizia americana. Ci riesce, ma nel frattempo il romeno urla dal dolore, non più per i calci, ma per il piede che ha sopra la mano, il carabiniere è grosso, alto, sui 120 kg, ma si prende tutto il tempo necessario per togliere il piede dalla mano, vedo i segni profondi lasciati dal carroarmato della suola, il romeno ha ancora il ginocchio del solerte padre sul collo, il volto paonazzo schiacciato sull'asfalto, la mano schiacciata dal piede, il torace violaceo dai colpi ricevuti. Lo tirano su di peso, lo strattonano, lo azzittiscono dicendo vieni vieni con noi, il tono è di minaccia. La vecchia signora inveisce contro i militari, vergognatevi gli urla, siete voi che dovete riportare l'ordine e trattate sto poveraccio peggio di questi animali!!! Il carabiniere che guidava si scoccia, si volta e gli dice, la vorrei vedere signora se l'avesse rubato a lei il portafoglio! La signora diviene paonazza, la rabbia gli sale dal collo visibilmente, gli dice ma tu ce l'hai una madre? Ma non ti vergogni? Prendo le difese della signora, gli dico che non mi piace come trattano il ladro, il carabiniere viene verso di me, e con aria strafottente mi dice, perchè come lo dovrei trattare? Altri mi danno manforte, la gente urla, sento dire, e lo sappiamo come trattate la gente, come alla Diaz!! Come Aldronvandi, come Cucchi!! I carabinieri si guardano e immediatamente mettono in auto il ladro, accendono le sirene e vanno via sgommando come da copione. La gente rimane a commentare, la vecchia signora ancora attacca gli aggressori, che si vantano con i nuovi venuti, arriva un signore che se la prende con la vecchia, è un sessantenne, capello bianco pettinato con le onde di felliniana memoria, camicia nera (ma guarda un po’) e giù con slogan sull'ordine e la pulizia, sul fatto che devono stare a casa loro e che prima non era così, anzi si stupiva che non era nè nero nè arabo, poi saputo che era romeno, rise, ah ho capito uno zingaro! Tutti ridono, siamo 5 o 6 a non ridere, ci guardiamo negli occhi e inorridiamo, si siamo a Roma, anno domini 2012.
Mi domando se questa gente è mai andata in Chiesa o ha mai letto il Vangelo, se lo hanno fatto o hanno letto uno diverso da quello canonico o stanno proprio da un'altra parte. Poi penso, bah saranno i cosiddetti atei, quelli che credono nell'Uomo... se è questo è credere nell'Uomo ci deve essere qualcosa che non va, a me non piace, poi penso che per arrivare a comportarsi così si deve attraversare un tempo di disagio, sofferenza, di difficoltà, se si arriva a non aver pietà di uno che stanno massacrando sotto i tuoi occhi ...... Animali! Animali! Animali! Urla la signora che ora sembra ancora più vecchia.
Guardo la vecchia, che raccoglie la frutta e la verdura caduta a terra, l'aiuto a rimettere le cose nelle buste, siamo chinati e ci guardiamo negli occhi mentre lo facciamo, non urla più, ha gli occhi umidi, mi sussurra, figlio, manco in guerra manco in guerra...
Roma, Africa, che differenza fa? La differenza la fanno gli uomini, anzi no, i vecchi.